Un modello di churn permette di identificare le intenzioni di abbandono del cliente e di intervenire tempestivamente con azioni opportune, migliorando la capacità aziendale di fidelizzazione e arginando potenziali perdite.
Ma come funzionano esattamente gli algoritmi matematici e i software analitici sottostanti al processo di customer retention?
Casi d’uso: quando servono i modelli di churn
Come premessa importante, bisogna precisare che le analisi di churn vengono utilizzate tipicamente da società che vendono servizi: basati su sottoscrizioni, erogati nel tempo (come le forniture elettriche o i contratti di telefonia) oppure legati alle donazioni (nel caso di enti no profit). Si applicano meno nella vendita puntuale di prodotti, quando il rapporto tra azienda e cliente si esaurisce con l’atto di acquisto; tuttavia il fenomeno della servitizzazione (che prevede l’offerta di servizi digitali a corollario degli oggetti intelligenti) sta cambiando le regole del gioco e aprendo nuovi scenari d’uso.
Pioniere della churn analysis sono infatti le compagnie telefoniche, che hanno a disposizione moltissimi dati sui propri clienti, a partire dalle informazioni rilasciate per la stipula del contratto o relative all’utilizzo del servizio (durata delle chiamate, orari preferenziali e così via). Sono tutti dati che considerati singolarmente possono non sembrare particolarmente significativi, ma che, una volta aggregati, permettono di tracciare il pattern di comportamento per diverse tipologie di utenti. Ad esempio, si possono riconoscere e identificare: i clienti sempre attenti alle ultime novità sul mercato e inclini a passare alla concorrenza in virtù di tariffe più convenienti o servizi aggiuntivi; gli utenti più abitudinari, che preferiscono evitare gli impegni che un cambio di operatore comporta; le persone insoddisfatte, che hanno più volte espresso disappunto al customer care.
Quando si procede a elaborare un modello di churn, un aspetto decisamente importante da rilevare sono le tempistiche con cui il cliente intende rinunciare al servizio. L’orizzonte temporale per arginare il rischio di abbandono, mettendo in atto strategie commerciali e di retention, varia infatti a seconda del settore e della tipologia di servizio offerto. Ad esempio, nel caso delle Utilities, sono necessarie settimane per convincere il cliente a non passare ai competitor (carpire l’intenzione pochi giorni prima non basta per intervenire con azioni opportune), mentre le compagnie telefoniche possono agire con meno preavviso (non servono insomma algoritmi così sofisticati per intercettare il rischio di abbandono con mesi di anticipo).
Origine dei dati e finalità analitiche
In un progetto per lo sviluppo del modello di churn, le informazioni sulla customer base che concorrono all’analisi vengono fornite direttamente dall’azienda e provengono da molteplici fonti: condizioni contrattuali, dati anagrafici, consumi, frequenza delle donazioni, fatturazione (ad esempio, le modalità e la regolarità dei pagamento), interazioni con il customer service, modifiche dell’offerta dei competitor e così via.
L’obiettivo è tracciare l’identikit del cliente, cercando di intercettare le intenzioni di abbandono, elaborare e implementare le strategie di retention, individuare i profili di qualità che l’azienda ha interesse a trattenere o acquisire (ad esempio, perché sono più fedeli e pagano puntualmente).
L’analisi di tipo prescrittivo (che non solo permette di distinguere le tipologie di clienti, ma anche di suggerire opportune strategie di retention ed eventualmente automatizzare l’avvio di alcune azioni) è l’obiettivo ultimo dei modelli di churn, come auspicato da molte aziende. Tuttavia non è possibile realizzare modelli prescrittivi completamente automatici a meno che non sia presente un ampio storico. Serve infatti uno storico dati esteso perché gli algoritmi statistici possano funzionare con sufficiente attendibilità.
Inoltre l’automazione delle attività di retention si presta per iniziative che vanno a coinvolgere un’ampia porzione della customer base: ad esempio, l’invio di newsletter, che anche se eseguito su larga scala ha costi contenuti.
Per strategie più mirate ed incisive, come la proposta di buoni sconto e variazioni di tariffa, le aziende prediligono l’utilizzo congiunto di algoritmi per la scoperta di insight mirati e l’esperienza di business del proprio personale.
Dall’algoritmo al software
Quando un’azienda si rivolge a una società specializzata per lo sviluppo dei modelli di churn, deve valutare le competenze su due fronti: la matematica (per la messa a punto degli algoritmi volti a indagare e risolvere le necessità specifiche) e l’informatica (perché gli algoritmi siano fruibili agli utenti all’interno di software con funzionalità di dashboarding e advanced analytics).
Nella maggioranza dei casi, i modelli di churn rientrano tra le componenti di piattaforme analitiche più estese, che vanno a coprire un ampio spettro di esigenze e casi d’uso.
Tipicamente queste soluzioni offrono sia una pluralità di dashboard riassuntive, che restituiscono una vista sulle macrotendenze alle persone del business, sia la possibilità per gli utenti più evoluti di scendere nei dettagli e usufruire di funzionalità di analisi avanzata basata su modelli matematici personalizzati. Un plus da considerare nella scelta della piattaforma è la capacità di agganciarsi ai sistemi di dashboarding e data visualization già presenti in azienda, che vengono quindi alimentati dai nuovi algoritmi e modelli matematici.
Riassumendo, grazie allo sviluppo di funzioni analitiche e strumenti informatici ad hoc, diventa possibile elaborare modelli di churn efficaci, in grado di predire e minimizzare il rischio di abbandono grazie all’attivazione di strategie per la customer retention.
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